martedì 27 marzo 2012

TEMPO DI RIFORME


LA DENTATURA DA COCCODRILLO CE L'AVEVA DI SUO
LE LACRIME LE SON VENUTE CON IL TEMPO... DI RIFORME!



Hasta siempre

The Boss

lunedì 26 marzo 2012

sabato 24 marzo 2012

ART. 18

1970. Dopo l'Autunno Caldo, scioperi, cortei e scontri di piazza tra lavoratori e celerini la "classe operaia" (allora esisteva) raggiungeva una straodinaria conquista: l'approvazione da parte del Parlamento (in cui il partito di maggioranza relativa era la Democrazia Cristiana) della legge 300/1970, al secolo lo Statuto dei Lavoratori, in cui venivano riconosciuti alcuni diritti dei lavoratori dentro i luoghi dei lavoro e nei confronti dei datori di lavoro; tra questi diritti vi era anche quello del lavoratore di essere reintegrato nel luogo di lavoro qualora il Giudice avesse annullato il licenziamento intimanto dal datore di lavoro perché avvenuto senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo (grave inadempimento del lavoratore ai propri obblighi) o giustificato motivo oggettivo (ovvero per ragioni economiche attinenti l'organizzazione del lavoro o l'attività produttiva dell'azineda).

Questo diritto spetta solo ai lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti ed ai lavoratori subordinati impiegati con contratto a tempo indeterminato. Per i lavoratori delle aziende sotto i 15 dipendenti nel caso in cui il Giudice dovesse ritenere non esistenti i presupposti di legge di giusta causa o giustificato motivo allegati dal datore di lavoro per effettuare il licenziamento, può solo accordare al lavoratore un'indennità che va dalle 2,5 alle 6 mensilità. Per i lavoratori parasubordinati o a tempo determinato (ai tempi dell'approvazione della legge molto pochi) questa tutela, così come altre, non era prevista.

Per i licenziamenti per causa discriminatoria (motivi politici, religiosi, sindacali, raziali, di genere) invece il Giudice, sempre che si tratti di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, deve sempre ordinare la reintegrazione sul posto di lavoro, a prescindere dal numero di dipendenti dell'impresa.

2012.Il mondo è molto cambiato dagli anni Sessanta e Settanta. L'economia italiana (pur essendo ancora la settimana al mondo) arranca sotto i colpi della crisi ed è stata superata (o lo sarà nei prossimi anni) da quella di alcuni paesi emergenti. Il mercato del lavoro è cambiato: gli operai esistono ancora ma non sono più una "classe" (la classe operai è andata in paradiso, verrebbe da dire, parafrasando il titolo di un film);le grandi imprese sono sempre di meno ed il tessuto produttivo è formato sempre più da piccole imprese, molte delle quali non superano i 15 dipendenti; le imprese assumono sempre meno a tempo indeterminato e sempre più con contratti a termine, contratti parasubordinati (i famosi co co pro) con partite IVA fittizie (perché con un unico committente del servizio o della attività lavorativa resa), con gli interinali etc.

Ai lavoratori precari ed ai lavoratori delle piccole imprese (peraltro in genere esclusi dal circuito della rappresentanza sindacale che invece paradossalmente rappresenta un gran numero di pensionati, cioè di coloro che furono lavoratori), l'art. 18 non si applica. Eppure di questi lavoratori nessuno se ne cura, in primis i sindacati. I contratti flessibili (che di per sé non sono un male) sono ormai la porta per l'ingresso e, spesso, per la permanenza delle nuove generazioni nel mercato del lavoro: si tratta di lavoratori sforniti di molte tutele che hanno i lavoratori a tempo indeterminato (per esempio la maternità e l'indennità di disoccupazione) e che avranno pensioni bassissime e tante incertezze per i loro progetti di vita.

Sull'art. 18 in questi giorni c'é grande parapiglia. Si tratta di una questione anche valoriale che scalda i cuori e riaccende le sopite differenze tra Destra e Sinistra, Imprenditori e Lavoratori: da una parte c'è il diritto dei lavoratori a non perdere il lavoro se licenzati ingiustamente, dall'altra quello dell'imprenditore a poter licenziare lavoratori incapaci o che "per ragioni economiche" non può più tenere in azienda, a prescindere dalle valutazioni del Giudice (la verità processuale può non coincidere con la verità dei fatti) all'esito di un processo che può durare anche qualche anno.

E d'altra parte è evidente che una delle ragioni per cui le imprese assumono con contratti "precari" è la possibilità di lasciare a casa i lavoratori quando, evenutalmente non serviranno più all'impresa senza dover rischiare di passare dal Giudice. Purtroppo però questa non è l'unica ragione: altri motivi sono la maggiore convenienza economica dei contratti flessibili in termini di oneri contributivi ed il potere ricattatorio che il datore di lavoro ha verso il lavoratore con l'arma del contratto precario.

A me la soluzione di modifica dell'art. 18 proposta dal Governo Monti sembra confusa e pasticciata: se passa il principio che i lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo (cioè per ragioni economiche) poi riconosciuto dal Giudice come infondato, possono solo ricevere un risarcimento monetario, allora tutti i licenziamenti verranno motivati dai datori di lavoro con questa ragione in modo da non essere soggetti all'ordine di reintegrazione del giudice che permerrabbe in caso di licenziamenti giustificati per ragioni disciplinari o discriminatorie. Così facendo però si tolgono tutele ai lavoratori in un periodo di crisi e grave difficoltà per tante famiglie e lavoratori e si attribuisce al datore di lavoro un potere ricattorio enorme specie verso le donne od i lavoratori over 50 che, se perdonono il lavoro, fanno molta fatica a trovarne un altro.

Il punto di equilibrio a mio modo di vedere dovrebbe essere, quindi, un altro: in caso di licenziamento per ragioni economiche il Giudice dovrebbe avere la facoltà di scegliere se reintegrare il lavoratore oppure disporre l'indennizzo. E nella scelta tra le due opzioni il Giudice dovrebbe tenere conto della situazione  della situazione economico - finanziara dell'impresa (fatturato, indebitamento etc.), in modo da poter venire incontro all'impresa che comunque si trovi in una situazione di difficoltà. Lo stesso dovrebbe avvenire per i licenziamenti avvenuti per gisutificato motivo soggettivo: bisognerebbe dare la facoltà al giudice di riconoscere al lavoratore il solo indennizzo e non la reintegrazione sul posto di lavoro quando, sebbene le colpe del lavoratore non siano tali da giustificare il licenziamento, comunque tali comportamenti siano rilevanti ed influenti sulla sua attività dell'impresa.

Ma non dimentichiamoci che l'art. 18 è solo una parte del problema, riguardando i soli lavoratori a tempo indeterminato. A mio avviso è urgente ridurre la giunga dei contratti precari andando verso un contratto "unico" di inserimento dei giovani di durata triennale (senza la tutela dell'art. 18, ma con tutte le altre tutele dei lavoratori a tempo indeterminato), con incentivi per le imprese che stabilizzano i giovani al termine del triennio assumendoli a tempo indeterminato.

In ogni caso la riforma del mercato del lavoro va fatta con legge ordinaria, restituendo piena sovranità al Parlamento.

Antigone

giovedì 22 marzo 2012

IL CICLO DELLA CRONACA TELEVISIVA

Ľanno si apre con le vittime dei botti di natale, un classico, così come gli incidenti sugli sci, ma questi sono connaturati con il periodo delľanno, così come poco più avanti si trova la stagione dei monsoni e degli uragani.

Ma poi comincia una strana liturgia di indignazione e cronaca nera: Morti bianche, rapimenti, cani randagi, navi incagliate, maestre che picchiano alunni, ospizi-carceri, mala sanità, sbarchi di clandestini, corruzione, calciopoli, stupri, prostituzione, femminicidi, rapine ai furgoni, polizia corrotta, politica corrotta, elezioni truccate, mafia, occupazione case, piazze calde, impiegati fannulloni, senza tetto, divorzi, disoccupazione, evasione fiscale, preti pedofili, furti in casa, inquinamento, terremoti, disastri naturali, sprechi pubblica amministrazione, stragi del sabato sera, e chissà quanti mi sfuggono ora.
Non ho capito come mai tutti gli anni si ripetono sempre con ordine simile questi avvenimenti, che poi sembra che un caso tiri ľaltro, come le ciliegie. E così appena uno viene morso da un cane per una settimana in tutta Italia i cani impazziscono, poi tornano a tacere per un altro anno; appena una nave si incaglia sembra che tutte si incaglino, e poi il mare torna piatto; appena uno viene rapito per un mese via coi rapimenti, poi restano casi solo per "Chi ľha visto". Non molto diversamente accade per tutti gli altri casi citati, magari alcuni si ripetono più di una volta ľanno perché più di tendenza, ma lo schema è sempre lo stesso.

Così mi sono creato una teoria che mi piacerebbe condividere. Da cattolico medio ho passato anche io i miei anni di militanza fra i banchi di Chiesa, e guarda caso anche lì si ritrova similmente lo schema ripetitivo della cronaca. In un anno ripete i passaggi importanti e in tre anni ripete tutto il repertorio (a dire il vero c'è anche un sotto ciclo di 2 anni per le messe feriali...ma non facciamo i pignoli...).

La Messa è stata per secoli ľunica fonte di notizie per il popolo, attrattiva e con uno share altissimo, perché non copiare il format? 
La ciclicità della cronaca, la richiesta implicita di indignazione, il mantenimento della tensione continua, uno schema vecchio di secoli e ben rodato. Ora che per motivi contingenti il vecchio fornitore sta perdendo clienti è il momento di attaccare con la concorrenza e la fidelizzazione.


Magari sono io che ormai sono pieno di pregiudizi sulla tv, ma ogni tanto mi vengono queste idee. Se poi ripenso al titolo del primo articolo pubblicato quassù tutto sembra tornare, la televisione che vuole sostituirsi alla Chiesa: "il nuovo oppio del popolo".

Hasta siempre

The Boss

domenica 18 marzo 2012

MAL COMUNE, MEZZO SALVO

Una delle cose che non sopporto maggiormente delle persone quando vengono colte sul fatto nel compiere qualcosa di sconveniente, legale o illegale che sia, è la cd. “chiamata in correità” di altri, a discolpa del loro comportamento. In questo, i politici sembrano i campioni assoluti, sempre pronti a pensare al proprio interesse personale a discapito del bene collettivo, ma a chiamare in causa la collettività quando vengono accusati personalmente. Per tanto corrompere non sarebbe tanto grave nel momento in cui molti amministratori lo fanno, di qualsiasi colore o bandiera; ricoprire più cariche contemporaneamente, magari incompatibili fra loro, è lecito se molti altri lo fanno; o, come diceva Rutelli oggi a “In ½ ora”, avere un tesoriere di partito ladro bugiardo è un’infamia, ma non si dimentichi che è storia comune a tanti altri partiti. Ma che cosa vuol dire? Richiamando il passato macchiato di altre compagini si vuole forse dimostrare l’inevitabilità del marcio. “Prima o poi doveva succedere” sembra dire il leader dell’Api. “Evidentemente c’è stata qualche falla nel sistema di controllo, probabilmente qualche bocca cucita di troppo, sicuramente di soldi ne sono spariti tanti, ma, sia chiaro, non siamo stati di certo gli unici”. Questa è l’unica arma di difesa, oltre ovviamente al chiamarsi totalmente estraneo alla vicenda, di un politico di fronte ad un atto d’accusa. E’ il modus operandi di questa classe che, dovendo rispondere al popolo di determinati comportamenti, non esitano a ricordare che tutti, ora o in passato, chi più chi meno, hanno peccato (spesso si trattava d’ingordigia). In tal modo si crea un appiattimento fra i vari schieramenti, una parificazione, indicandone l’appartenenza ad una medesima classe: quella dei farabutti. Siamo tutti uguali, siamo tutti delinquenti sembrerebbero ammettere tutti quanti. Bell’esempio di eguaglianza, oltre che di fair play elettorale. Si dimenticano di essere persone, con un pensiero critico e una propria morale, capaci di distinguere se non il bene dal male, il lecito dall’illecito. Invece li trovi poco propensi alla riflessione e all’autocritica e lontani dal prendere a modello i soggetti più virtuosi.
I più mi criticheranno per quanto scritto, accusandomi di demagogia e pressapochismo. Da parte mia rispondo che parlare in termini assolutistici non mi è mai piaciuto e lungi da me far di tutta l’erba un fascio. Ma quanto visto oggi in televisione, i sorrisetti, i toni da predicatore, le fronti corrucciate in fare severo, le movenze da statista, tutto ciò mi sa di vecchio e ipocrita e sinceramente mi ha stancato. Quindi per un giorno lasciatemi mettere tutti nello stesso calderone. Chissà, magari un giorno ce li ritroveremo dentro di nuovo tutti quanti.   

CONVEGNO BIENNALE CSC (Centro Studi Confindustria) 2012

Una due giorni di economia e politica si è appena conclusa a Milano nei pressi della Fiera MilanoCity. Personaggi di spicco italiani e internazionali si sono riuniti sotto le ali dell'aquilotto per parlare di come si potrà cambiare l'Italia con nuove riforme strutturali. (per maggiori informazioni a riguardo: clicca qui)

Si sono spese come solito parole al vento, ma nella massa ci sono stati degli spunti interessanti. Professori e politici americani, tedeschi, spagnoli, greci e italiani si sono confrontati sul tema della crisi e delle soluzioni possibili, segno sicuramente positivo del fatto che si è capito che è inutile continuare a piangersi addosso. Le proposte sono le solite: flessibilità, meno spesa pubblica, meno burocrazia, meno tasse, più investimenti, più credito, pagamenti più rapidi, etc. Riuscirà il nostro Super-Mario Monti a fare tutto? Ieri sicuramente ha espresso una grande prova di forza; con il suo spirito sarcastico ha saputo sferzare giornalisti, no TAV e pure la FIAT. Per lui non vale il paradosso del politico che sa come uscire dalla crisi ma non lo fa per paura di essere rieletto; diciamo anche malignamente che non vale perchè tanto la pensione da senatore a vita se l'è già presa prima di portare risultati... Però l'ho rivalutato, non l'avevo mai sentito parlare di persona e devo dire che non è la stessa persona  noiosa e dal lento ritmo che ci appare dalle estrapolazioni che fanno al tg.
Molto meglio di Barroso e degli altri politici che hanno fatto i brillanti con battutine senza fini se non quello di strappare consensi al pubblico. Monti non è certo un mattatore come altri primi ministri sono stati, ma nella sua flemma caccia frecciatine a tutto e tutti senza alcuna paura.
Un paladino della nazione? Forse come dice la Camusso è facile tagliare pesantemente colpendo i meno potenti, rimanendo schiavi delle corporazioni; forse però è anche l'unica soluzione, o quanto meno la più veloce e più semplice, per uscire dal baratro che ci sta risucchiando.
Una standing ovation ha accolto il bocconiano al suo ingresso, imbarazzando non poco il relatore del momento che si è trovato zittito nel mezzo di una battuta simpatica ma non così clamorosa; e così anche il finale del suo discorso, lungo ma interessante, è stato chiuso con minuti di applausi di approvazione.
Due battute però dovete concederle: una è che Monti ha fatto la figura di quello che entra nel bar di gay urlando sono omosessuale; ľaltra è che poco prima di lui invece aveva parlato la Camusso, che invece ha fatto la figura del negro invitato alla festa del KKK... La festa di Confindustria è giusto sia anche questo, non bisogna dimenticare che è una lobby che aggrega gli interessi di migliaia di imprese italiane, non si può fare un gioco troppo imparziale, ma devo ammettere che non si è stati troppo schierati.
Una critica voglio dedicarla alla Marcegaglia: cara Emma, è vero che ormai inizi a puzzare di avariato, i giorni per te sono contati (Giovedì verrà eletto il nuovo Presidente), per questo ti sei voluta togliere i sassolini delle scarpe, ma fare la scenetta della donna che ha trovato difficoltà per il proprio sesso è risibile, detto da una donna con le palle come è Emma suona male. E poi il demagogismo, fatto frustando uno dei pochi governi riformatori, forse non è corretto, diamo il tempo anche a loro di produrre risultati, in fondo sono poi solo 3 mesi che lavorano, se poi dopo 4 anni non avranno combinato nulla di speciale come qualcun'altra allora li metteremo alla gogna. Ma d'altronde non hai mai nascosto di essere attaccata al passato, ostacolando la rinnovazione della struttura, e forse sabato col tuo discorso hai voluto lanciarti in politica, ti sei voluta far sentire vicina ai pensieri liberali e ai venti di cambiamento che servono a sospingere la malandata nave Italia. Mi dispiace, cara Emma, ma io ti ho sentita solo suonare la tromba cercando di salire sul carro del vincitore (Bombassei infatti è ormai dato in vantaggio su Squinzi e il suo programma è di "rifondazione" come dicono scherzando i suoi colleghi).

Una punta di stizza mi è venuta quando hanno attaccato l'istruzione italiana, quando il CEO di Vodafone ha tacciato alcuni indirizzi culturali come fabbriche di illusioni. E mi è tornato alla mente una pubblicità ridicolissima in cui Confindustria sponsorizza l'ITIS, dove una improbabile sexy-cappuccetto rosso con lo zaino invita gli studenti di terza media a pensare al loro concreto futuro e non farsi abbindolare dalle favole. Sarà vero che la cultura è proprio così fine a se stessa? Una cara amica due settimane fa mi ha aiutato a capire come anche la teoria più esteta non è mai troppo lontana dalla realtà. Forse bisognerebbe fare battaglia ai diplomifici più che ai licei o alle università non scientifiche. Infatti la nostra vergogna deve essere la produzione di diplomati e laureati che non si meritano i risultati ottenuti, e che poi alla prova dei fatti vengono respinti dal mercato del lavoro, facendoci fare una magra figura in tutto il mondo.
Se poi però anche i centri culturali, collaboratori dell'ONU, come Gherush92, si impegnano a mettere in dubbio il valore culturale di pietre miliari come la Divina Commedia tacciandola di antisemitismo, antiislamismo e omofobia, come faremo a salvarci? Forse, come già ho denunciato in queste pagine in altre occasioni, anche stavolta i media sono stati sfruttati per farsi pubblicità scandalizzando e accendendo gli animi, ma io odio profondamente sentire certe minchiate e mi sento di denunciarle.

Gli altri relatori, infine, hanno scherzato sul trio Germania, Francia e Italia ma solo il fatto di essere ritornati a essere paragonati alle due big mi rincuora; perchè invece un docente greco del MIT di Boston ci ha ricordato che secondo i numeri noi non stiamo che curando i sintomi e non la vera malattia, che quindi non è lo spread o la finanza, ma i veri mali sono la corruzione e il costo che la politica impone ai lavoratori.
Fra tasse, investimenti sbagliati, debiti posticipati, leggi demagogiche o autoriferite, tentennamenti, mentalità sbagliate e molti altri errori della classe governante a casa sua hanno già dichiarato il default.

Speriamo bene dai! Decontestualizzandola, vorrei dedicare all'Italia e agli italiani una citazione di un personaggio controverso dei nostri tempi: "Tegn dur, mai molà!"

Hasta siempre

The Boss

lunedì 12 marzo 2012

COME COMMENTARE I POST: PILLOLE DI BLOGGER


Cari lettori, 
vogliamo rispondere al bisogno di una nostra sostenitrice con questo post tecnico. Infatti ci è stato fatto notare che non è così semplice capire come lasciare commenti, dato che il nostro intento è quello di coinvolgere il pubblico nelle nostre riflessione ci sentiamo in dovere di sprecare un po' di spazio per aiutarvi. 
  1. Procedure per commentare: una volta sulla pagina del post che volete commentare cliccare su "posta un commento";
  2. potete scrivere un nuovo commento nello spazio bianco che si apre a fondo pagina oppure cliccare su "rispondi" per rispondere a un commento già esistente;
  3. una volta scritto cliccare sulla freccina vicino a "commenta come" e dal menu a tendina scegli "nome/url", apparirà una finestra in cui dovete inserire il vostro nome(ľurl è roba da smanettoni, lasciate pure in bianco);
  4. cliccare "pubblica";
  5. inserire nella stringa bianca le lettere sfocate che sono mostrate nell'immagine a fondo pagina;
  6. se le lettere sono corrette vi compare il tasto "pubblica" da cliccare. 
Finalmente il vostro commento è pubblicato! 
Se avete ancora problemi lasciate pure un commento e vi risponderemo :-) 
Alla peggio se proprio non riuscite inviate una mail a pensiero.precario@gmail.com con titolo del post, testo e vostro nome e ci pensiamo noi a pubblicare... 
Più di così non sappiamo che fare!


Pensiero Precario

domenica 11 marzo 2012

LA GUERRA INFINITA


E’ sorprendente l’entusiasmo che circonda l’operato del super-direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio “Scovalitutti” Befera e il seguito che dietro a quest’ultimo s’è venuto a creare. Notizia di oggi, l’80 % degli italiani è a favore dei blitz della Finanza e, di riflesso, del metodo-Befera: controlli intensificati, intervallati di tanto in tanto da azioni spettacolari e mediatiche che hanno la funzione di terrorizzare psicologicamente i commercianti “mariuoli” e di trasmettere il messaggio che nessuno rimarrà impunito. Nulla di più positivo direi: una squadra affiatata, che si stringe intorno al suo condottiero votato alla lotta contro il male.

Questo fenomeno del “Tutti con il boia” però, mi ricorda tanto quanto successo 20 anni fa, durante la cd. stagione di Mani Pulite, quando a capo della massa indignata c’era il Pm Antonio Di Pietro e, come “strategia militare”, al blitz si preferiva la carcerazione preventiva. Sia chiaro: allora il furore mediatico era decisamente più intenso, la ribalta dei personaggi maggiore e i valori in gioco più preziosi. Ma l’atteggiamento degli italiani invece, direi che è rimasto lo stesso. Quelli che un tempo, al primo odor di tangente, erano pronti a far scattare le manette sono gli stessi che vorrebbero improvvisamente ripulire la città, con controlli a tappeto ed un finanzino ad ogni angolo di strada. Gli stessi che attaccheranno alla porta del loro negozio il bollino blu dell’onestà (previsto per i commercianti che risultano “puliti” ai controlli fiscali), quando fino all’anno prima evadevano l’evadibile e, passata l’onda di perbenismo, torneranno ad evadere. Gli stessi che in pubblico chiedono la testa degli evasori e poi in privato pensano al loro orticello “perché con tutte queste tasse non ce la si può fare”. Non c’è che dire, ipocrisia e opportunismo regnano sovrani e non sarà con blitz e manette che le cose verranno risolte (vedi Mani Pulite appunto).

Indi, in poche parole, dove sta il problema? A mio avviso (e non solo mio) i problemi sono due, concatenati. Il primo è culturale. Ma non tradotto semplicemente nella frase “chi evade è furbo e chi paga è uno sciocco”. Ma nell’idea che, se una persona, compiendo un reato, non uccide nessuno, è comunque una brava persona e in fondo non ha fatto nulla di male. Non è quindi un’ignoranza prepotente ma un’ignorante leggerezza. Che va di pari passo con l’altro problema, politico, per cui le tasse sono tante e pesanti ed evadere è imprescindibile se non si vuole soffocare sotto la loro morsa e veder vaporizzati i soldi tanto faticosamente guadagnati. La soluzione? Da una parte educazione alla vita collettiva ed educazione al consumo. Dall’altra parte un uso più sano del denaro pubblico, evitando sprechi e ladronerie. Nulla di nuovo insomma. E’ quanto ci prefissiamo da anni, più o meno seriamente, a seconda del periodo più o meno difficile che si vive. Il vero dilemma è: esistono strumenti giuridico-sociali che permettano al nostro Paese e a noi italiani di fare quel gradino in più verso un vero modello di vita civile? Se tali strumenti esistono, sono applicabili al nostro “sistema-Paese”? C’è la volontà dei cittadini di seguire un modello virtuoso per cui l’interesse particolaristico viene sacrificato in nome di quello generale? Mi piacerebbe rispondere con un obamiano “Yes, We Can!” ma, alla luce di quanto detto prima, sembrerebbe il messaggio di un cieco trasudante ottimismo e false speranze.

E quindi, che fare? Smettere di lottare e lasciare che l’illegalità regni sovrana? Mai. Bisogna stare tutti in trincea, 730 sul petto e scontrino alla mano. L’ennesima battaglia al ladro evasore è appena cominciata. La guerra, sia chiaro, non finirà mai.

Ivan Karamazov

giovedì 8 marzo 2012

LO SPREAD, LA BCE E TUTTI GLI ALTRI INTERESSI

Come non parlare di spread oggi quando finalmente siamo tornati sotto i 300 punti? Ricordiamo che ciò vuol dire comunque un tasso risk free di 4,70 e rotti %, diciamo che quanto meno se affondiamo lo facciamo dopo la Spagna!


Ma il problema non è qui, andiamo a ritroso di qualche mese e cerchiamo di scoprire perché lo spread sta diminuendo. Ritorniamo a qualche mese fa quando la BCE regalava alle banche soldi alľ1% perché finanziassero le pmi in crisi di fiducia. E invece come tutti sanno quei soldi o sono stati lasciati nelle casse europee, o ci hanno obbligati a usarli per salvare investimenti azzardati, o sono stati utilizzati per garantire le aste dei BTP e dei BOT.

Ecco perché lo spread crolla, ma i magheggi non finiscono qui, le banche infatti non contente di aver reinvestito con guadagni del 6% continuano a non concedere prestiti alle imprese. Chiedono garanzia anche a chi ha rating 2, simile al B nei rating sovrani, quando fino a pochi mesi fa si chiedevano garanzie al massimo sotto al C. Chiedono il 400% di capitale proprio quando il loro patrimonio di sicurezza è ľ8%, e piangono quando Basilea 3 chiede di alzare il limite in base al loro portafoglio titoli. Sa un po' di cane che si morde la coda, perché se non fanno prestiti se non garantiti che % di patrimonio devono tenere?


Per poi tornare alla madre delle infami dobbiamo ricordare che i loro prestiti, oltre che finalizzati a diminuire lo spread, erano stanziati per salvare gli Stati che ormai la posseggono( la squadra della BCE si sa che ha sul petto lo sponsor del galletto e scritto sulle spalle il nome dei birrai). Infatti questi signori hanno obbligato gli Stati finanziati a usare i soldi per acquistare materiale bellico che era stato commissionato 10 anni fa, quando la corsa agli armamenti post 11 Settembre aveva portato a prenotare aerei nuovi, tempo di consegna 12/15 anni, ma che oggi non hanno più senso. In compenso Grecia, Italia, Portogallo e Spagna hanno degli aerei ultra fighissimi per le missioni di pace in Libia (gli altri Stati in rivolta non vale la pena di bombardarli, chissà perché!)

Ecco che fine hanno fatto i soldi prestati alľ1% alle banche. Ed ecco che fine faranno i soldi che Draghi ci ha promesso con la seconda tranche di aiuti, anzi almeno formalmente al primo giro erano stanziati con ľobbligo di aiutare le pmi, a questo turno non hanno nemmeno un vincolo.

Hasta siempre

The Boss

domenica 4 marzo 2012

I NOSTRI EROI ITALIANI

Ultimamente provo confusione di fronte ad alcuni commenti su eventi tragici che accadono a compatrioti. Così mi chiedo se sono io a classificare inadeguatamente gli avvenimenti, oppure c'è una forma di esaltazione del gesto fino ad eroicizzare chi forse non ha fatto nulla di straordinario e alľopposto una amnesia di gruppo verso chi è eroe nel silenzio della quotidianità.

Il mio pensiero nasce dalla cronaca della settimana: prima con quelľattivista no-tav che per protesta si è arrampicato su un traliccio ed è caduto, poi con la notizia lasciata in coda al tg del parroco antimafia che vive sotto scorta. Ma come questi mille altri casi mi vengono in mente: senza scavare lontano nella memoria penso ai funerali di Stato per chi muore in un incidente stradale sul lavoro solo perché il suo lavoro è più rischioso, come se la vita persa ogni anno da migliaia di persone che lavorano nei cantieri dovuta solo alla scarsa cura della sicurezza dei loro padroni avari, valesse meno di quella di quattro soldati che si ribaltano in auto mentre guadano un fiume; o ancora la cooperante rapita durante il suo lavoro in zone pericolose ( che se proprio avrei esaltato per il suo stimabile servizio alla comunità, parlare di lei solo perché è stata rapita mi sembra strano). Perché non parlare anche dei sequestri di navi con sparatorie in India, dove persone svolgendo il proprio lavoro probabilmente hanno sbagliato involontariamente e però lo Stato si schiera in loro difesa perché fanno un lavoro pericoloso (che poi se avessero voluto potevano evitare di consegnarsi oppure farli liberare da loro colleghi...).

Forse è meglio che mi fermi con gli esempi perché questi sono solo i più recenti e ľelenco chissà dove ci porterebbe, voglio invece passare alla vera questione: perché il popolo ha bisogno di eroi tanto eclatanti quanto contraddittori? Nessuno si ricorda mai di chi nella purezza quotidiana svolge servizi alla comunità altruisticamente, senza chiedere nemmeno un grazie, e invece si spendono fiumi di inchiostro su gente che effettivamente compie atti che fanno notizia facilmente, ma non sono più straordinari di altri, anzi! 100 volte un volontario alla mensa dei poveri, 1000 volte chi sfida la mafia non pagando il pizzo, piuttosto che un esibizionista che reca danno a se stesso e allo Stato manifestando la propria protesta in modo "originale", o chi svolge un lavoro pericoloso ma ricompensato adeguatamente per il rischio. Perché quelli non finiscono mai in prima pagina, nessun artista spende una parola per loro, lo Stato non distribuisce medaglie o pensioni alle loro famiglie quando li perdono in incidenti sul lavoro o sulle strade o per "cause ignote" mentre vanno a guadagnare quattro soldi senza dar fastidio a nessuno?

Incolpevoli vittime tanto quanto chi è finito in tv ma forse troppo simili al popolo per essere premiati, altrimenti tutti ci si potrebbe sentire eroi almeno per un giorno nella vita.

Hasta siempre

The Boss

sabato 3 marzo 2012

POLITICA, VANGELO E SANTITA'

In un'altra epoca storica, in un'epoca nella quale la politica veniva vista come la forza motrice in grado di generare cambiamento e trasformazioni della società umanizzando i processi economici, Paolo VI definì la politica come la forma più esigente di carità. Si tratta di una definizione, nella sua estrema sinteticità, pregna di significato  e che evidenzia due aspetti: a) che impegnarsi al servizio della comunità in partiti, sindacati ed associazioni è un atto di amore verso il prossimo; b) che questo atto d'amore comporta una fatica, una dedizione ed una vigilanza non indifferenti. Ogni gesto d'amore è uguale all'altro davanti agli occhi di Dio ed ognuno ha una sua valenza profonda ed irriducibile, ma l'occuparsi della vita pubblica richiede un impegno straordinario sia in termini di tempo sia in termini di competenze.

Un interrogattivo che spesso mi pongo è se chi fa politica, sindacato o associazione possa rimanere fedele al Vangelo, al radicale messaggio della fede cristiana e della predicazione di Gesù Cristo che dice cose ben precise e molto dirompenti, proponendo un vero e proprio ribaltamento della scala dei valori del mondo di allora e di quello di oggi: amare i propri nemici, servire invece che essere serviti, stare dalla parte dei più deboli, perdonare, amare (sentimento questo legato indissolubilmente con i concetti di dono e libertà).
Mi pongo quest'interrogativo sia come credente, sia come credente impegnato in una realtà lato senso politica, sia perché molti degli uomini  e delle donne che fanno politica a tutti i livelli (da quello nazionale a quello della provincia) fanno un costante (e non di rado fuori luogo) richiamo ai valori cristiani.

Senza andare a prendere i grandi scandali nazionali degli ultimi tempi, vorrei soffermarmi sulle dinamiche interne, i processi decisionali, i concreti comportamenti di tante persone che fanno politica a livello provinciale. A volte nel guardare queste dinamiche/contese, mi viene in mente che (oltre le parole e le citazioni di rito) il modo di fare e di incarnare l'impegno associativo sia, nella sostanza, ben lontano dal Vangelo. Prevalgono nei più (e chissà, forse inconsciamente anche in me stesso), il desiderio di acquisire o di consolidare la propria piccola posizione di potere, di apparire, di comandare e, quindi, di decidere per gli altri (a prescindere da ogni processo di partecipazione e di mediazione) di mettere in difficoltà i propri avversari non tollerando il dissenso e le voci di segno contrario, di interpretare ogni altrui azione in chiave di lotta per il potere attraverso la logica distruttiva della dietrologia.

Mi viene in mente che anche per chi fa politica od associazione potrebbe valere quella straordinaria metafora del Vangelo di Matteo (mt 19,23-24) con cui Gesù ammoniva i propri discepoli: "in verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli". Ma dunque è proprio così? E' impossibile per chi fa politica essere realmente fedele ai valori al di là delle scontate dichiarazioni di intenti?


Se fosse vero tutto ciò l'unica scelta possibile per il credente (ma in verità per ogni persona perbene) dovrebbe essere quella di abbandonare l'impegno politico, lasciandolo ad altri, dal momento che quest'impegno porta lontano dalla salvezza e dal Bene, porta a commettere di continuo errori, non rispettando le persone.


Eppure io credo che il disimpegno sia una strada troppo comoda: occorre stare nei processi decisionali per tentare di invertire la rotta e per rendere le modalità del fare politica più vicine ai valori. Solo stando 'dentro' e non fuori si potrà cambiare qualcosa: occorre sporcarsi le mani nella consapevolezza della tremenda ipocrisia e delle tante meschinità che abitano il mondo della politica forse più di tante altre realtà.


Quanto alla possibilità di errare, di commettere errori le uniche medicine sono l'umiltà, lo spirito di servizio e la volontà di mettersi sempre in gioco...credo poi che la speranza per il credente sia quella di affidarsi alla Grazia di Dio. D'altra parte, a voler leggere attentamente il passo del Vangelo poc'anzi citato, Gesù non chiude definitivamente la porta al ricco lasciandola, invero, socchiusa: "A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare? Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile" (mt 19,25-26).

Antigone

venerdì 2 marzo 2012

IL RITRATTO DEL POTERE


A camminare lungo le strade di Londra possono farsi incontri decisamente inaspettati. Fai la fila davanti alla cassa di uno degli innumerevoli mini-market indiani, che dilagano nella grande metropoli, e ti spazientisci per la goffaggine di una vecchietta che ti precede, lenta nel pagare e nel lasciarti il posto. La guardi andar via trascinarsi a fatica il suo corpo esile e stanco. Mai potresti immaginare che dietro quel vestito ordinario, sotto quel foulard stinto, si nasconde uno dei personaggi più potenti e influenti della seconda metà del 900.

Il film comincia proprio così. Margaret Tatcher sotto le “veritiere” spoglie di una vecchia nonnina, pervasa dai ricordi del suo più o meno glorioso passato e ossessionata dalla presenza del fantasma del marito che, anche post mortem, le è sempre a fianco. Ed è proprio attraverso i suoi ricordi che gli spettatori ripercorrono la vita di questa grande donna. Già in giovane età, grazie alla figura carismatica del padre, si avvicina al mondo della politica ed entra nel partito conservatore. Poi un’escalation inarrestabile che la porta, in 25 anni, alla guida del suo stesso partito e, dopo le elezioni del 1979, a Downing Street.

Più che un’analisi della situazione socio-politica di quegli anni e di come la PM si mosse all’interno della stessa (anche se non mancano i riferimenti a vicende storiche importanti come lo sciopero dei minatori e la guerra delle Falkland), il film s’incentra sulla persona Margaret Thatcher, nel pubblico e nel privato. E’ così che ci appare una donna di una tempra eccezionale, decisa, combattiva. Unico modo per emergere in un mondo maschile e maschilista che fin da subito critica e diffida. E’ questa, a mio avviso, la parte che si fa più apprezzare. Lloyd fa emergere questo aspetto con scene di forti contrasti tra la lady e i suoi ministri, i deputati, i manifestanti, le forze armate. Scene in cui lei è sola sopra tutti o contro tutti. E questi “tutti” sono sempre uomini. La giovane, dolce, indifesa ragazza originaria del Lincolnshire ora è la donna più odiatamata d’Inghilterra, è “la donna al potere”, è la “lady di ferro” come avranno a dire i russi.

Ma, come ogni storia di vita reale, a fase ascendente segue fase discendente. Ed è così che la sua forza diventa prepotenza, il suo decisionismo diventa autoritarismo e, inevitabile, si crea il vuoto intorno a lei. Dal suo fidato vice Howe, che da le dimissioni, al suo partito che le volta le spalle, fino a suo marito, che la lascia per cause naturali. Margaret esce così di scena, dopo 10 anni alla ribalta, ancora una volta sola. E’ proprio la solitudine che traspare, sia nelle vicende passate che in quelle presenti. Se nei suoi anni d’oro era sola contro il mondo maschile, ora è sola nella sua stanza, come una vecchia leonessa in gabbia, tormentata dalla malattia e ossessionata dal fantasma del marito. In fondo forse, non vorrebbe altro che i ricordi la lasciassero stare e chiudere in modo ordinario una vita assolutamente straordinaria.

Ivan Karamazov