domenica 27 maggio 2012

STEWARD SENZA COMPENSI MA CON LA LINGUA LUNGA

Ecco cosa mi tocca fare per guadagnare quattro denari a fine mese, e se poi si chiede di avere i soldi per quel che si è fatto ti prendono pure a male parole... che bello rischiare una denuncia per aver chiesto di pagare quanto dovuto! Il titolo non è equivocabile, sul fondo c'è una frase in cui si chiarisce che sono pensieri personali e non rappresentano un gruppo, ma effettivamente nel testo ci sono richiami ai colleghi a cui non è stato chiesto cosa ne pensassero, assicuro che sono state porte le scuse di dovere (magari non troppo garbatamente :-P). Quello che mi fa strano è essere attaccati prima dai colleghi che dalle persone a cui si sono chiesti i soldi.
Intanto la prima pagina del sito del L'Eco di Bergamo è conquistata!

qui sotto il link all'articolo completo:

Lettera di uno steward dello stadio «Siamo senza compensi da gennaio» - Sport - L'Eco di Bergamo - Notizie di Bergamo e provincia

per i più pigri lo trascrivo qui sotto...

«Buongiorno, sono un vostro affezionato lettore, nonché steward presso lo stadio di Bergamo. Vi scrivo nella speranza che voi possiate dare voce a me e ai miei colleghi che da mesi non riceviamo il compenso, per le nostre prestazioni servite ad Atalanta B.C.». 

«L'ultima mensilità che ci è stata corrisposta è stata quella di gennaio 2012, per di più in ritardo di 3 mesi, ma almeno era stata pagata, in questo periodo di crisi si accettano certi disguidi, anche se a malincuore. Ora però sono mesi che prestiamo servizio senza ricevere un soldo». 

«Ieri si è chiusa la stagione calcistica presso lo stadio di Bergamo con l'ultima partita dell'AlbinoLeffe e, dato che gli steward delle due squadre sono i medesimi, ci siamo confrontati sulla problematica. Alcuni di noi si ritrovano con arretrati importanti, che possono pesare sul bilancio di una famiglia a fine mese, ma che per una società di calcio di serie A, come è la nostra cara Atalanta, non credo dovrebbero influire nemmeno sul bilancio giornaliero». 

«Indiscrezioni vogliono che la colpa dei ritardi sia da accollare ad Atalanta e non alla società di servizio (Assist s.c. di Vicenza). Sinceramente non credo che importi a nessuno steward chi deve i soldi, basta che arrivino da qualcuno. Ci piacerebbe almeno sapere il motivo del ritardo, perché nessuno ha mai avuto nemmeno la gentilezza di essere chiaro su questo versante». 

«Potremmo essere comprensivi come lo siamo sempre stati in passato, ma il confronto con un muro di gomma non aiuta. Scrivo a voi de "L'Eco di Bergamo", perché vi ritengo la voce più vicina al territorio e ai suoi abitanti, perché vorrei anche solo che i tifosi, che ci ricordano sempre nei loro cori con vezzeggiativi simpatici, ma soprattutto il presidente Percassi, conoscessero la situazione che viviamo e magari potessero aiutarci col loro potere a sbloccarla prima dell'inizio della nuova stagione». 

«Perché non credo che saremo ancora in molti disposti a venire ogni domenica allo stadio a dare il nostro servizio, indispensabile per quanto la gente lo critichi, raccogliendo insulti e rischiando l'incolumità personale durante i tafferugli, a titolo gratuito. Spero possiate aiutarci». 

«Preciso che le parole sopra riportate rappresentano solo il mio pensiero personale e non vi è alcuna intenzione di rappresentare il gruppo degli steward di Bergamo». 

Hasta Siempre

The Boss

martedì 1 maggio 2012

SARA

Sara ha i capelli neri che cadono sulla schiena increspandosi dolcemente. Il suo volto è tondo (un po' paciotto a dire il vero) con le gote rosse che la ringiovaniscano, dandole un'espressione da bimba buona. Gli occhi sono neri e vispi e quando Sara ride sembra che anche gli occhi stiano sorridendo insieme alla bocca
Ho conosciuto Sara quando lei aveva venticinque anni ed io diciannove. Allora frquentava la specialistica di Economia a Pavia e nel frattempo - per guadagnarsi qualche soldo - faceva il servizio civile alle Acli a Bergamo: è stato in quel contesto ci siamo incontrati. Quando parlavamo di cosa avremmo fatto da grandi, Sara mi dicheva che avrebbe voluto lavorare nel no profit e, per poter dare gambe a questo suo sogno, aveva scelto di frequentare una specialistica sulle organizzazioni internazionali e, successivamente, di fare la tesi sul microcredito alle imprese nei paesi in via di sviluppo.
Sara ha realizzato il suo sogno. Terminato il servizio civile alle Acli, si è laureata e, poco dopo, è stata assunta da CESAC (ora COESI), un consorzio che presta servizi di assistenza e consulenza di vario tipo (contabilità, buste paghe, formazione, fund rasing) alle cooperative sociali, quella che viene appellata la via buona del capitalismo.
Sara è comunista e pacifistica. Una di quelle ragazze che veste un po' alternativo, non disdegna il poncho e gli altri accessori che vendono al negozio del commercio equo e solidale.
Però quando siamo andati al matrimonio Davide (un amico in comune), Sara era vestita molto elegante tanto che aveva suscitato le avance di un mio amico di allora venuto alla festa in auto con me. Il tale era diventato così molesto che alla fine della fesra io, sara ed altri ci siamo dati alla fuga: nel senso che siamo partiti senza il molestatore, il quale, accortosi che sarebbe rimasto senza passaggio in mezzo alle colline di Scanzo, priam si è messo a rincorrere la mia macchina cercando invano di raggiungerla e dopo a tempestarmi di chiamate lanciandomi una serie di (legittimi) impropèri.
Dopo quella bella festa io e Sara ci siamo persi di vista. L'avevo incontrata qualche volte il tardo pomeriggio mentre io andavo alle Acli e lei usciva da COESI al termine di una giornata di lavoro. Ogni tanto ci sentivamo in chat.
Sara l'ho rivista oggi. Morta. Un cancro che l'abitava da oltre un anno se la è portata via all'età di trentanni. "Sara è morta. Ora è nelle braccia del Signore. La saprà ricompensare come solo Lui sa fare. è alla camera mortuaria della san francesco. ciao, Elena" Così recita l'sms della mia ex che mi ha dato la notizia.
Sapevo che Sara era ammalata, ma non sono andato a trovarla visto che lei aveva detto a tutti che preferiva non ricevere visite. Avrei voltuo mandarle un mazzo di fiori con un biglietto, ma poi non l'ho fatto ... solo qualche preghiera e neanche con troppa costanza.
Ad ogni modo quando ho letto il messaggio non ho pensato al Paradiso ed al caldo abbraccio del Padre Eterno, ma al buio ed al freddo della morte.
Mi sono subito corsi per la mente i peggiori insulti, ma ovviamente senza sapere a chi indirizzarli. Anzi a dire il vero forse avrei voluto riferirli nei confronti del Padre Eterno, ma il mio autocontrollo e le Tavole dei Dieci Comandamenti me lo hanno impedito.
Ho voluto rivedere Sara un'ultima volta. Volevo conservare nel albun dei ricordi un'ultima immagine che potesse accompagnarmi. Sono entrato alla clinica sanfracesco chiedendo della camera mortuaria, ma ovviamente il portinaio mi ha detto che per quella stanza si entrava da un ingresso separato,  essendo peraltro la stessa collocata in un piccolo edificio ad hoc, diviso dall'ospedale. Meglio tenere i morti lontano dalla vista e nascondere le facce dei visitatori della salma lontane da quelle dei pazienti dell'opsedale e dei loro cari. Quasi come sela morte non avesse nulla a che fare con la vita e fosse confinabile - anche da un punto di vista spaziale - in un mondo a parte, separato dal mondo dei vivi. E ciò nell'assurda concezione che la morte incrocerebbe la vita solo per sbaglio e toccasse sempre gli altri.
Quando sono entrato nel piccolo edificio di fianco alla clinica ho visto dentro la bara una bambola color cera coi capelli neri ormai sfibrati raccolti sopra la nuca. Il viso era scarno e aveva perso la sua naturale forma. Vestiva il poncho e sotto la bara c'era una bandiera arcobaleno della pace (queste erano state le ultime volontà di Sara, come a voler dirci che era rimasta fedele ai suoi sogni fino all'ultimo).
All'inizio sono rimasto incredulo e sgomento. Senza quella bandiera della Pace, senza la mamma accanto alla bara non avrei mai pensato che ci fosse stata Sara dentro quella scatola di legno. Ma poi quando ho capito che quella figura inanimata era Sara, la Sara che conoscevo, il cuore ha cominciato a martellarmi il petto ed a bloccarmi la lingua. E mi sono chiuso in silenzio, sconvolto da come il male potesse rendere irriconoscibili le persone, anche se tanto giovani.
Durante questi attimi di mutismo ho ripensato che agli ultimi mesi di vita di mio padre, a quando mio fratello - appena tornato dal Portogallo - l'aveva visto sotto casa che aspettava un collega che l'avrebbe accompagnato al lavoro e mi aveva detto che in quell'uomo aveva a stento riconosciuto papà. Il cancro ti colpisce  nelle più diverse parti del corpo, ma poi fotte tutti allo stesso modo. In questo è una malattia estremamente attenta ai valori costituzionali di uguaglianza. Puoi vivere a Reggio Calabria ed essere disoccupato o vivere nella prospera Lombardia che tanto, se ti deve spedire al Creatore, il Nostro lo fa non senza troppo sottilizzare sulla struttura ospedaliera sul nominativo primario cui sei in cura. Se ne sbatte i coglioni in nome dell'Unità degli Italiani ammalati.
Poi ho ripreso a contemplare il feretro. Accanto alla bambola color cera c'era la mamma, il compagno della signora (il papà di Sara se ne era andato anche lui a seguito di un tumore, il che aveva reso Sara timida ed arrendevole alla malattia, come un vitello che intuisce di stare andando al macello) ed il fratello di Sara.
C'era anche un altro volto a me noto, uno dei capoccia delle Acli che stava colloquiando con la signora. Anche dopo il servizio civile Sara aveva continuato ad essere in rapporti con questo personaggio: Sara sbobinava gli incontri culturali delle Acli di modo che lei potesse arrotondare lo stipendio e lui usare i testi sbobinati come base per gli articoli che avrebbe scritto e venduto a qualche giornale cattolico.
Grazie a lui, Sara aveva ottenuto di poter rimanere alla Sanfracesco senza finire in hospice (si chiama così, come se l'inglese avesse l'effetto taumaturgico di alleviare il significato della parola). D'altra parte in Italia la raccomandazione serve per fare qualunque cosa, ivi incluso scegliere il luogo dove andarsene da questo (unico?) mondo.
Il pezzo da novanta delle Acli, terminato di parlare con la mamma, se ne andò senza salutarmi, pur trovandomi a meno di due metri di distanza lui. Non credo l'abbia fatto per non interrompere il mio silenzio, quanto perché certi soggetti, pur avendo assiduamente sulla bocca il nome di Dio, nemmeno di fronte alla morte mutano la propria vera nautra e si piegano ai valori della civiltà, perdonando (di che cosa poi non si sa) gli "asseriti" nemici e professando con la vita quel vangelo di cui si dichiarano fedeli davanti alle moltitudini.
Nè io feci alcun gesto di saluto verso di lui, ero ancora stordito fisso sul corpicino della mia amica incredulo ed attonito e non ero neppure riuscito a salutare i parenti di Sara.
Una volta che trovai il coraggio per avvicinarmi mezzo metro in più alla più alla cassa di legno ed interrompere finalmente il mio mutismo salutai la mamma di Sara. La signora - che mi aveva già riconosciuto appena entrato - mi parlava della figlia come fosse ancora viva il che non mi sorprese troppo; i morti, pensavo, continuano a vivere per chi resta, la valenza delle loro azioni ed il frutto del loro amore non si interrompono con la cessazione delle loro funzioni vitali, ma proseguono senza soluzione di continuità incarnandosi nella nostra esistenza in una sorta di eterno presente.
Stetti ancora insieme alla bambola di cera altri 5 minuti, ripercorrendo con la mamma di Sara la vita della figlia: gli studi, le amicizie, il servizio civile alle Acli, il suo lavoro. Poi il custode ci disse che la sala avrebbe chiuso e quindi dovemmo andarcene via tutti. Nel salutarci fu quasi la mamma di Sara che mi diede la forza. Del resto è spesso così: è chi avuto dimestichezza con la morte che riesce a dare agli altri vivi la spinta per andare avanti nonostante la morte.
E mentre mi allontano dalla camera mortuaria, col cuore stretto ripenso a Sara, a mio papà, all'omone maleducato delle Acli; ripenso anche a Gesù, alla Pasqua, ed allo stupore dei discepoli nel vedere il loro Maestro risporto. E spero che il Cristo non abbia millantato credito rispetto alla sua relazione con Dio e che gli evangelisti non siano rei di falsa testimonianza.
Allora, forse, Sara adesso è in viaggio verso la luce e la camera mortuaria non è altro che un autogrill sulla strada verso casa.
CIAO SARA.

Antigone