venerdì 2 novembre 2012

LA LIBERTA' SECONDO DOSTOEVSKIJ


Quando si pensa all'evoluzione umana, la mente va alle grandi conquiste tecnologiche, politiche, sociali. In particolar modo, in questi ultimi duecento anni, sembra che l'umanità abbia cambiato marcia, raggiungendo traguardi impensabili nell'arco di un tempo relativamente così ridotto. Per quanto riguarda i concetti esistenziali invece, come l'amore, la fede, la giustizia, LA LIBERTA', ebbene, per quelli che Ivan chiama problemi eterni, l'uomo sembra essere sempre lo stesso. Dostoevskij lo sa e, attraverso le parole di Ivan, trasmette il suo pensiero, che è poi il pensiero del mondo, e ci consegna una delle più belle pagine della letteratura mondiale. Qui, riassunto e rivisitato in versione teatrale, il dialogo sulla libertà tra Ivàn e Alesa Karamazov. 
 
IVAN: Alesa, guardami bene, sono un ragazzo come te, esattamente come te. Forse con la sola differenza che non sono un novizio. E molti, moltissimi dei nostri giovani più originali oggigiorno non fanno altro che parlare dei problemi eterni, non è così?

ALESA: Sì, per i veri lussi questi problemi sono certamente i primi e i più importanti. Ed è bene che sia così.

I: E dunque, da che cosa dobbiamo cominciare?

A: Ieri, dal babbo, hai detto che Dio non esiste.

I: Ieri dal babbo lo dissi apposta per stuzzicarti. E vidi che ti sfavillavano gli occhi. Ma ora non sono affatto scontento di parlarne con te. Voglio fare amicizia con te, Alesa. Perché non ho amici, e voglio provare. Ebbene, figurati che anch’io accetto l’idea di Dio. Ti sorprende?

A: Sì, certo. Beh, purchè tu non scherzi anche adesso.

I: Io accetto Dio, puramente e semplicemente. E non mi pongo la domanda se Egli esista o no. E credo, credo nella Sua saggezza, nei Suoi fini che ci sono del tutto ignoti. E credo, stammi bene a sentire, nell’armonia in cui si dice dovremmo fonderci tutti un giorno, dopo aver perdonato chi ci ha offeso, chi ci ha umiliato. Accetto e, credo. Ma, qui comincia la mia ribellione. Perché c’è qualcosa che non posso accettare. La sofferenza. Degli umili, degli innocenti, dei poveri di spirito, dei bambini. Ecco, la crudeltà verso i piccoli, innocenti bambini. Ecco, io prendo l’esempio dei bambini perché è innegabilmente chiaro quello che voglio dire. Noi, noi uomini possiamo essere anche tormentati, e puniti. Magari ingiustamente, ma noi abbiamo mangiato, anzi assaporato il frutto proibito. Conosciamo il bene e il male. Possiamo subirlo, ma potevamo anche farlo. I bambini no. Loro non sono colpevoli di nulla. E allora perché? Alesa tu ami i bambini, so che li ami. Come puoi dunque ammettere che anch’essi soffrano terribilmente sulla Terra, perché? PERCHE’? Come entrano le loro sofferenze in quella armonia? Che armonia è mai questa, se comprende anche la sofferenza dei bambini? No Alesa, no. Io allora rifiuto questa armonia, rifiuto di far parte di questo mondo armonico. Non ne nego l’esistenza. Ma mi affretto, nel modo più rispettoso possibile, a restituirne il mio biglietto d’ingresso.

A: Ecco, questa è una rivolta.

I: Oh no, no, no. Non dire così. Questa è…un’eccezione, non una rivolta. Stammi bene a sentire. Immagina, immagina di essere chiamato, tu, a costruire il Grande Edificio dei Destini Umani. Sì, con lo scopo di fare finalmente felici gli uomini. Pane per tutti, pace, libertà, ordine. Ma, che per arrivare a questo sia necessario tormentare un piccolo essere di tre, quattro, cinque anni. Accetteresti? Dimmi, accetteresti di edificare il tuo regno di benessere e di pace sulla sofferenza di quell’unico bambino innocente? Rispondimi senza mentire.

A: No, non accetterei.

I: E puoi ammettere che gli uomini, per i quali costruisci l’Edificio, acconsentano da parte loro ad accettare il sacrificio che gli viene da sangue innocente e ad essere poi felici in eterno?

A: No, non lo posso ammettere. Però, però c’è un Essere che può perdonare, e ha il diritto di farlo. Tu l’hai dimenticato, ma è appunto su di Lui che si fonda l’Edificio.

I: Il Cristo. L’unico senza peccato. No, non l’ho dimenticato. Anzi mi meravigliavo che ancora tu non avessi fatto il Suo nome. Eh, vedi io dico Cristo e già l’animo mi si divide perché…eh, Cristo tu lo sai bene è segno di contraddizione. Il cuore si commuove al Suo nome, ma la mente mi ribolle di tante domande. No, non ti turbare fratello. Io, nel fondo, continuo ad essere sereno. Senti, lo sai che…eh…lo sai che volevo scrivere, anzi voglio scrivere un poema, diciamo una rappresentazione, proprio su Cristo.

A: Davvero! E che poema sarebbe? Puoi dirmelo?

I: Sì! Voglio dirtelo! Senti il titolo se ti piace. Mi piacerebbe chiamarlo “La leggenda del Grande Inquisitore”. Dovrebbe avere uno sfondo storico. Pensa, pensa al secolo della Grande Inquisizione, alla Spagna, quando si bruciavano gli eretici. Lo sfondo sarà storico ma, il dramma, le idee…sarà di oggi. Anzi, potrebbe essere il dramma della mia coscienza, divisa, dilaniata tra il Cristo e i dubbi della Ragione. In fondo anche noi, uomini moderni, invochiamo Cristo in certi momenti. Come dovevano certamente invocarlo gli eretici, mandati al rogo dall’Inquisitore.

A: Anche tu lo invochi, Ivan?

I: Eh, immagina che io lo invochi e…Lui torna! Ecco, il mio poema comincia proprio così. Sì, Lui torna, come un pellegrino qualunque, mescolato alla folla e nessuno lo riconosce nella grande piazza della Cattedrale di Siviglia.

A: Ah, bellissimo! Il tuo Cristo è già tra noi, ma nessuno lo vede. Perché non sappiamo più riconoscerlo. Bellissimo!

I: Aspetta, Alesa. Da principio nessuno lo riconosce, ma c’è in Lui qualcosa di indefinibile che attira l’attenzione di qualcuno. E basta che uno dica: “E’ Lui! Cristo è tornato!” perché la folla lo avvolga come un’onda del mare. E non c’è dubbio, tutti gridano: “E’ Lui! Cristo è tornato! Fa di noi quello che vuoi! Ti seguiremo dovunque…”. Ti piace come inizio? E’ qualcosa che potrebbe benissimo accadere anche oggi. Sì oggi, su al tuo monastero. Lo riconoscono quindi, gridano. Ma ecco che una figura, vestita di porpora, appare sul sagrato del monastero della Cattedrale di Siviglia. Guarda la folla con la fronte aggrottata e chiede: “Chi è costui? Che è venuto a fare? Prendetelo e rinchiudetelo nel carcere della Santa Inquisizione.” E poco dopo Cristo è imprigionato. Tutti hanno chinato la testa davanti all’Inquisitore. Nessuno ha mosso un dito in difesa di Gesù.

A: Ma perché era tornato?

I: Eh… “Perché sei tornato a turbare il nostro ordine, la nostra pace?” Glielo chiede appunto l’Inquisitore, di notte, quando va ad interrogarlo. “Che sei venuto a fare?”

A: Era tornato per ridare agli uomini la vera liberta’? LA LIBERTA’ DELL’ANIMA?

I: Ecco sì. Io credo che metterò in bocca a Cristo proprio la tua risposta. Mi piace. LA LIBERTÀ! Eh, questa faccenda della libertà, quanto è costata agli uomini. Da secoli essi si tormentano, e combattono, per essere liberi. Ti dirò una cosa Alesa. Io mi sono persuaso che l’uomo non vuole essere libero. Praticamente invece chiede a qualcuno di molto potente, di molto abile, a cui affidare la propria libertà. Qualcuno che gliela amministri e che gli tolga la responsabilità di decidere giorno per giorno, volta per volta. Liberamente, appunto. Qualcuno che decida per lui. QUESTO VUOLE L’UOMO! E questo può rispondere il Grande Inquisitore.

A: Ma è il ragionamento dello Spirito del Male! Cristo si è sempre ribellato a chi Gli proponeva di spogliare l’uomo della sua libertà.

I: Lo so bene che si è ribellato. Ma con che risultato! Quando il Tentatore gli propose di tramutare le pietre in pane, perché il Cristo si ribellò?

A: Ma perché non ci può essere vera libertà, se l’ubbidienza è comprata col pane! Beh, ti ricorderai come rispose: “NON DI SOLO PANE VIVE L’UOMO!”   

I: Eppure è proprio in nome di questo pane terreno che da secoli s’è aperta una lotta che ancora continua. Ma che cosa gliene importa agli uomini della liberta! Prima sfamali, e poi parleremo di libertà, di amore, di pace. Se Cristo avesse trasformato le pietre in pane eh, tutti l’avrebbero seguito. E il Suo regno si sarebbe fatto in un momento. Invece Cristo rifiutò di sventolare la bandiera del pane terreno in nome della verità e del PANE CELESTE!

A: Non essere così semplicista, Ivan! Cristo ha sempre comandato agli uomini di procurarsi INSIEME il pane terreno.

I: Ma occorreva dare un esempio clamoroso, le pietre trasformate in pane!

A: Ma Cristo, rifiutandosi di esercitare quel miracolo, ha agito con magnifica fierezza, la fierezza di un Vero Dio!

I: Sì, lo riconosco. E lo riconosce anche il mio Inquisitore. La fierezza di un Vero Dio. Hai detto bene, Alesa. Ma gli uomini non lo capiscono, PERCHE’ NON SONO ALTRETTANTI DEI! Ma credi che la natura umana riesca a fare a meno del miracolo? Credi che l’uomo possa a lungo soffocare il desiderio di essere guidato da qualcuno di molto, molto potente, su cui scaricare la propria responsabilità? Ah, tu non conosci gli uomini, Alesa. Gli uomini sono deboli, e schiavi. Ed è per questo che si sono allontanati da Cristo. Per seguire Noi.

A: Noi? Chi?

I: NOI!...eh, mi sono talmente immedesimato nella rappresentazione che ti rispondo come se io stesso fossi l’Inquisitore. Sì. “Gli uomini si sono allontanati da noi. Perché non hanno bisogno né della libertà né dell’amore. Ma di una Chiesa possente, che si fondi sul Miracolo, sul Mistero e sull’Autorità. E indichi loro le strade da seguire, ciecamente. Per questo Noi abbiamo permesso agli uomini talvolta di peccare. Perché la coscienza della loro debolezza non li spingesse alla disperazione. E d’ora in poi NOI permetteremo o vieteremo agli uomini di vivere con le loro mogli o le loro amanti, NOI permetteremo agli uomini di avere o non avere figli e tutto sarà regolato da NOI, a seconda del variare dei tempi. E tutti s’inchineranno a NOI, ubbidienti. E riconoscenti.”

A: Ma tu, Ivan…VOI, non sentite la responsabilità delle loro vite? Non tremate al pensiero di tener nascosta la verità?

I: “Sì! Noi sentiamo, proviamo una spaventosa responsabilità.”

A: E come potete continuare a vivere…serenamente?

I: “E chi ti dice che Noi viviamo serenamente?! Proprio Noi, i POCHI, gli ELETTI, solo Noi siamo i veri infelici. Perché custodiamo il segreto della verità. Ma non è meglio condannare pochi all’infelicità, che privare milioni di esseri deboli della pace e della serenità del cuore? Sappi, sappi che anch’io mi ero preparato come Te a portare agli uomini il messagio cristiano della libertà e dell’amore. Ma mi sono ricreduto, vedendo che era un ideale impossibile per gli uomini comuni. E lasciai gli orgogliosi per unirmi ai deboli, e guidarli secondo una Legge adatta alle loro fragili forze. E Ti dico…”, ecco, queste sono le parole finali che il Grande Inquisitore rivolge al Cristo Pellegrino, “…Ti dico che continuerò a correggere l’opera Tua. E domani Ti brucerò, perché hai turbato il Nostro Ordine. Sì, domani Ti brucerò. Perché se c’è qualcuno che meriti più di tutti il rogo, questo sei Tu. Domani Ti brucerò. Dixi.”

A: Ma è assurdo! Il tuo poema è l’elogio di Gesù, non la condanna del Suo messaggio. E nessuno ti crederà mai laddove parli della libertà. Non è così che va intesa la libertà dello spirito, no, NO! La intendono così soltanto i peggiori fra i cattolici. Gli inquisitori. Il tuo Inquisitore, con le sue sofferenze, non è che un fantasma. Anzi, il tuo Inquisitore non crede in Dio. Questo è il suo vero segreto.

I: E se anche fosse così? In questo sta la sua grandezza. Perché, non la consideri tu una tragedia quella di un uomo che ama ostinatamente a modo suo l’umanità, senza credere in Dio?

A: Ivan, tu non credi in Dio…e come termina il tuo poema?

I: Oh, io penso che l’Inquisitore arretri nell’ombra del carcere, ma Cristo non lo lascia allontanare. Gli si avvicina, lo bacia sulla bocca. L’Inquisitore è come bruciato da quel bacio sulle labbra e dice: “VATTENE e non tornare mai più!” e lo lascia allontanare per le vie oscure della città. E il prigioniero si allontana.

A: E l’Inquisitore?

I: Quel bacio gli brucia, ma continua ad essere della sua idea.

Da "I fratelli Karamazov", sceneggiato RAI diretto da Sandro Bolchi del 1969, tratto dall'opera omonima di Fedor Dostoevskij

Ivan Karamazov