In un'altra epoca storica, in un'epoca nella quale la politica veniva vista come la forza motrice in grado di generare cambiamento e trasformazioni della società umanizzando i processi economici, Paolo VI definì la politica come la forma più esigente di carità. Si tratta di una definizione, nella sua estrema sinteticità, pregna di significato e che evidenzia due aspetti: a) che impegnarsi al servizio della comunità in partiti, sindacati ed associazioni è un atto di amore verso il prossimo; b) che questo atto d'amore comporta una fatica, una dedizione ed una vigilanza non indifferenti. Ogni gesto d'amore è uguale all'altro davanti agli occhi di Dio ed ognuno ha una sua valenza profonda ed irriducibile, ma l'occuparsi della vita pubblica richiede un impegno straordinario sia in termini di tempo sia in termini di competenze.
Un interrogattivo che spesso mi pongo è se chi fa politica, sindacato o associazione possa rimanere fedele al Vangelo, al radicale messaggio della fede cristiana e della predicazione di Gesù Cristo che dice cose ben precise e molto dirompenti, proponendo un vero e proprio ribaltamento della scala dei valori del mondo di allora e di quello di oggi: amare i propri nemici, servire invece che essere serviti, stare dalla parte dei più deboli, perdonare, amare (sentimento questo legato indissolubilmente con i concetti di dono e libertà).
Mi pongo quest'interrogativo sia come credente, sia come credente impegnato in una realtà lato senso politica, sia perché molti degli uomini e delle donne che fanno politica a tutti i livelli (da quello nazionale a quello della provincia) fanno un costante (e non di rado fuori luogo) richiamo ai valori cristiani.
Senza andare a prendere i grandi scandali nazionali degli ultimi tempi, vorrei soffermarmi sulle dinamiche interne, i processi decisionali, i concreti comportamenti di tante persone che fanno politica a livello provinciale. A volte nel guardare queste dinamiche/contese, mi viene in mente che (oltre le parole e le citazioni di rito) il modo di fare e di incarnare l'impegno associativo sia, nella sostanza, ben lontano dal Vangelo. Prevalgono nei più (e chissà, forse inconsciamente anche in me stesso), il desiderio di acquisire o di consolidare la propria piccola posizione di potere, di apparire, di comandare e, quindi, di decidere per gli altri (a prescindere da ogni processo di partecipazione e di mediazione) di mettere in difficoltà i propri avversari non tollerando il dissenso e le voci di segno contrario, di interpretare ogni altrui azione in chiave di lotta per il potere attraverso la logica distruttiva della dietrologia.
Mi viene in mente che anche per chi fa politica od associazione potrebbe valere quella straordinaria metafora del Vangelo di Matteo (mt 19,23-24) con cui Gesù ammoniva i propri discepoli: "in verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli". Ma dunque è proprio così? E' impossibile per chi fa politica essere realmente fedele ai valori al di là delle scontate dichiarazioni di intenti?
Se fosse vero tutto ciò l'unica scelta possibile per il credente (ma in verità per ogni persona perbene) dovrebbe essere quella di abbandonare l'impegno politico, lasciandolo ad altri, dal momento che quest'impegno porta lontano dalla salvezza e dal Bene, porta a commettere di continuo errori, non rispettando le persone.
Eppure io credo che il disimpegno sia una strada troppo comoda: occorre stare nei processi decisionali per tentare di invertire la rotta e per rendere le modalità del fare politica più vicine ai valori. Solo stando 'dentro' e non fuori si potrà cambiare qualcosa: occorre sporcarsi le mani nella consapevolezza della tremenda ipocrisia e delle tante meschinità che abitano il mondo della politica forse più di tante altre realtà.
Quanto alla possibilità di errare, di commettere errori le uniche medicine sono l'umiltà, lo spirito di servizio e la volontà di mettersi sempre in gioco...credo poi che la speranza per il credente sia quella di affidarsi alla Grazia di Dio. D'altra parte, a voler leggere attentamente il passo del Vangelo poc'anzi citato, Gesù non chiude definitivamente la porta al ricco lasciandola, invero, socchiusa: "A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare? Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile" (mt 19,25-26).
Antigone
Mi è piaciuto molto il commento alla classe politica, forse nel finale però lasci troppe speranze a chi non so se le merita... ma non spetta di sicuro ai mortali giudicare la vita altrui, anche se a volte è difficile condividere certe azioni.
RispondiEliminaHasta siempre
The Boss
Beh, rimango sempre esterefatto dalla puntualità e dalla semplicità con cui riesci a raccontare e a trasmettere quello che senti. Il tema è scottante ma come ben sai non è solo un problema tra politica e religione ma anche tra società e religione. Una società che spesso e volentieri travisa i valori cristiani. Una religione ad uso e consumo di tutti quando conviene.
RispondiEliminaBravo ancora...
Ivan Karamazov